Stari Ribar. Questo il nome del progetto artistico di Massimo Marchiori per il recupero della plastica nei mari: una missione per il futuro del pianeta, un messaggio di educazione e sensibilizzazione sui rifiuti, una creazione artistica e di design che sposa la strategia delle 5 R della circolarità: riduzione, riuso, riciclo, raccolta e recupero. Scopriamo la storia dietro i pezzi unici di design di Massimo Marchiori.
Dal recupero della plastica all’ARTE
C’è chi parte da un’indole creativa e la coniuga a una missione ecologista e chi parte da una vocazione ecologista e approda all’arte. Ecco, il secondo caso è quello che stiamo per vedere.
Oggi parlo di Massimo Marchiori, artista, designer e scultore, che da circa 15 anni realizza i suoi pesci lampada, coniugando il recupero dei rifiuti di plastica dai mari e il design artistico.
Il progetto di Massimo Marchiori è, prima di tutto, una missione ecologista che nasce quando nel 2010 comincia a percorrere kilometri di spiaggia per raccogliere sistematicamente i rifiuti di plastica.
Ben presto, al recupero della plastica dai mari si sommano la vocazione artistica e il carattere comunicativo di Massimo. Grazie al suo estro creativo i rifiuti si ri-compongono in nuove forme, dando vita a nuovi oggetti di design che raccontano storie e parlano di futuro. E così dal recupero della plastica nasce un pesce fatto con corda, mezza bottiglia e un rastrello, o un cavallo, nato da un barattolo, una rete e un galleggiante. Nuove storie che portano un messaggio importante per tutto il Pianeta e reclamano una globale riflessione critica.
Le lampade Stari Ribar – che in lingua croata significa “pescatore esperto” – sono oggetti unici di design, plasmati dallo scultore insieme alla materia originale del cartone, e in esso fusi, sperimentando.
Abbiamo incontrato questo artista speciale, per capire e amare ancora di più la sua arte.
Massimo, secondo te qual è il potere comunicativo dell’arte?
“Da artista e appassionato, penso che ogni forma di arte debba sempre comunicare un messaggio, chiaro e forte.
Ogni opera deve aver una sua matericità e un suo contesto, riconoscibile e condiviso.
La missione più importante per me è il messaggio che questi oggetti portano con sé, un messaggio di presa di coscienza e sensibilizzazione per l’allarmante livello di inquinamento dei mari.
Anche per questo motivo ho scelto di non seguire i modi e canali canonici dell’arte – gallerie, esposizioni – e prezzi elevati.Desidero che i miei pesci trovino posto nelle case di tutti, che possano essere acquistati in una libreria, in un negozio di arredamento, o da un falegname, e a un prezzo democratico.
Più pesci vendo, più plastica posso raccogliere.”
Molte delle tue opere hanno colori sgargianti e decisi, quale la tua logica nella scelta dei colori?
“Partiamo dalla constatazione che buona parte delle mie sculture sono molto simili tra loro, perché la tipologia di materiale che trovo e uso non è molto vario.
Bottiglie, lattine, sacchetti, reti, tappi, corde. Gli oggetti più frequenti sono quelli legati alla pesca: le reti per la raccolta delle cozze, cassette da pesca, gabbie.
E i pezzi di rete sono tra gli oggetti più pericolosi per la fauna marina: si chiamano reti fantasma, perché restano sospese tra il fondale e la superficie, invisibili agli occhi dei pesci e dei mammiferi che vi restano incastrati.Per animare e ridare vita a questi scampoli di oggetti, rottami del consumismo maleducato, devo dare loro una forma, trasferendo nella materia spenta un’ispirazione creativa e vitale.
Parte di questa vitalità è data dalla vivacità delle tinte. Uso colori completamente atossici, quindi ho una gamma colori abbastanza limitata e sono ovviamente tutti opachi.
La vivacità dei colori è in contrasto alla tristezza della materia prima, alle ore di amara riflessione mentre con la mia barca ho raccolto dalle acque quegli oggetti abbandonati.
Trovo questi oggetti a imbrattare posti meravigliosi, galleggiare in baie dalle acque cristalline, trovo gli animali soffocati e imprigionati da questi oggetti, trasformati in arme letali dalla nostra incuria e inciviltà.Tante volte, tantissime, trovo una bottiglia di plastica, un flacone, o una tanica con dentro ancora parte del contenuto, spesso olio chimico, motore, e attorno un terribile alone oleoso dai riflessi multicromatici…Raccolgo la bottiglia, la tanica, ma la macchia di mare malato non posso che fissarla con amarezza: per quella, con quella, non posso farci nulla.
Sul sito di Stari Ribar è possibile ammirare i pezzi unici di design di recupero firmati dall’artista. I pesci Made in Silba e Made in Venezia portano tutti il nome di una stella. Ci sono anche I Piccolini, “battezzati” con nomi di isole sparse per tutto il mondo. Le Barchette, realizzate con legno levigato dal mare, pezzi di corda consunta dalla salsedine e piccoli pezzi di plastica, ricordano i battelli sui quali, da bambini, saremmo voluti salpare per andare alla scoperta di terre lontane. Per adottare uno dei “pesci fantastici” di Massimo Marchiori non è necessario essere dei sub professionisti o degli appassionati di pesca: basta un tuffo nel suo sito internet o un giro nel suo negozio di Verona basterà per conoscere tutti gli esemplari disponibili e per portare a casa una storia unica, nel pieno rispetto della natura.
L’importanza del recupero in un mondo (di) spazzatura
Il tema del recupero della plastica è indubbiamente molto discusso e centrale quando si parla di sostenibilità.
Caratteristiche e prestazionalità di questo materiale sono decisamente eccezionali e non facilmente sostituibili. La plastica è unica per flessibilità e igiene. Moltissimi oggetti in plastica sono progettati e creati per durare per molto tempo e per diversi usi, motivo per cui ad oggi non esistono materiali (o almeno non sempre) in grado di sostituire la plastica. Ma l’opinione pubblica è inflessibile e si sono moltiplicate le campagne pronte a demonizzare la plastica, scatenando acritiche correnti di pensiero capaci di raccogliere un veloce consenso. Ma a soffocare gli ecosistemi del nostro Pianeta, ormai al collasso, non è solo la plastica, ma il consumismo sfrenato tipico della nostra epoca. Ed è qui che entra in gioco una nuova idea di design, più etica e responsabile.
Perché il design ha un ruolo decisivo nel recupero della plastica
Oltre ad agire responsabilmente e individualmente per non inquinare, è importante pensare a una nuova filosofia di design di recupero che possa valorizzare non solo i rifiuti della plastica, ma tutti gli scarti e i materiali usa e getta che non vengono pienamente sfruttati.
Riduzione, riuso, riciclo, raccolta e recupero – come già abbiamo raccontato in Storie Sostenibili – su iniziative individuali o collettive, private o pubbliche, sono le 5R di un tipo di design più consapevole, sostenibile e all’avanguardia.
Pensiamo agli SmartBin di FaterGroup, ideati per attivare la raccolta differenziata dei pannolini usati e avviare un ciclo di economia circolare basato sul recupero di materie prime e seconde.
Oppure a Ocean Cleanup, progetto nato per ripulire la gigantesca isola di spazzatura galleggiante del Pacifico, nota come il Great Pacific Garbage Patch; alla missione scientifica Kasei, lanciata dall’Ocean Voyages Institute (OVI) della California, che ha già portato via più di 100 tonnellate di detriti.
O a Roteax, un sistema, elaborato da un’azienda friulana, che recupera residui plastici in acqua e li trasforma già sulle navi in materie prime seconde. Sailing for Enviroment è il progetto avviato da Valeria Serra, scrittrice e navigatrice, e Mike Bava, skipper oceanico: navigando tra le isole dell’Arcipelago sardo a bordo de La Bimba, un First di 40.7 piedi, organizzano regate e crociere ecosostenibili dove a fine giornata è obbligatoria la raccolta della spazzatura in spiaggia, esempio di design dei servizi che unisce l’utile al dilettevole.
E ancora, al progetto LifeGate PlasticLess, che vede l’utilizzo dei cosiddetti Seabin, cestini della spazzatura acquatici pensati per ripulire mari, laghi e darsene cittadine da plastica e microplastica 24 ore al giorno, trattando 25mila litri di acqua all’ora e contenendo fino a 20 kg di rifiuti.
Esempi virtuosi di applicazione delle 5R al design ne abbiamo moltissimi. Non ci resta che trarre spunto e cambiare filosofia di approccio al mondo del recupero e del design.